OLTRE LA LEGALITÀ: PER UNA
PEDAGOGIA CIVILE E DI PROSSIMITÀ
Il contributo di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

Quando nel 1995, prese avvio il cammino di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, fu subito

evidente una cosa: era necessario dedicare un grande impegno alla pratica educativa, alla formazione umana e civile delle persone. Il contrasto alle mafie non poteva prescindere da un profondo cambiamento culturale. Il mondo della scuola, con tutti i soggetti che lo compongono, si rivelò da subito uno dei primi luoghi in cui i percorsi formativi iniziarono a prendere corpo. Eravamo convinti — e lo siamo ancora — che l’opposizione a mafie e corruzione non potesse esistere senza uno sguardo attento ai luoghi dove si produce conoscenza, dove ogni giorno studentesse, studenti e docenti sperimentano relazioni, affrontano difficoltà, vivono soddisfazioni e imparano a crescere insieme.

Oggi, a distanza di trent’anni, ci troviamo di fronte a un mondo profondamente cambiato, che continua a evolversi con grande rapidità. In questo contesto, non è più sufficiente parlare di legalità e cittadinanza attiva in modo assoluto e astratto. Avvertiamo piuttosto l’urgenza di approfondire il significato stesso di queste parole, di ridefinirne i contenuti e gli orientamenti.

Per Libera il termine «cittadinanza» traduce un concetto che ha un profondo contenuto politico, perché ad essa si collega l’appartenenza di una persona, giovane o adulta che sia, ad una comunità organizzata. Per questo la condizione della cittadinanza non è data da sempre e per sempre, ma è frutto di un continuo lavoro, di un continuo processo di conquista, di aggiornamento e di mantenimento. È nostra convinzione che non ci possano essere cittadinanza ed educazione civile, senza cura della comunità. Perché è il sistema città nel suo complesso, con i suoi elementi naturali e quotidiani ed i suoi dispositivi pedagogici, che diviene oggetto di attenzione dell’educazione alla cittadinanza, costruendo e ricostruendo con continuità le modalità attraverso le quali rendere concreti e quotidiani i 4 principi che rappresentano i capisaldi della Costituzione italiana: Uguaglianza, Giustizia, Libertà e rispetto per la dignità di ogni persona.

La dimensione dell’uguaglianza è oggi fortemente disattesa, le economie la usano spesso come leva per lo sviluppo, consolidando e facendo crescere sempre maggiore povertà ed esclusione sociale.

Nel vivere la crescita civile la condizione di uguaglianza non può che essere pensata e realizzata in profondo legame con la tutela della parità di dignità sociale. Quest’ultima è premessa e come tale precede e permette la prima: se non c’è impegno per l’eliminazione di tutte le cause di discriminazione l’uguaglianza rimane solo ad un livello formale, un auspicio e non concretezza.

E la dignità inizia a formarsi, prima di tutto, all’interno del sistema delle relazioni sociali significative che danno valore, alle quali si dà valore. Aumentare la coesione sociale e quindi la dimensione della vita nella comunità, permette di porre al centro uguaglianza e dignità sociale.

Troppe persone pagano con la loro esclusione ed emarginazione la crescita economica di pochi. L’educazione alla cittadinanza non può prescindere all’affrontare il nodo della giustizia e della libertà nella loro relazione, perché questi capisaldi sono i fondamenti propri della cittadinanza. In questa direzione possono venirci in aiuto le parole del Presidente Sandro Pertini: «Per me libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile. Non vi può essere vera libertà, senza la giustizia sociale. Come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà».

La giustizia sociale ricercata e perseguita per realizzare comunità fondate sull’uguaglianza tra le persone e le libertà praticate per permettere un reale accesso a percorsi di vita e di sviluppo possibili. Dunque, non solo giustizia sociale, ma attenzione alle libertà, intese non solo come tutto ciò che le persone possono conseguire nella loro vita, o alle dotazioni di «beni» di un territorio; ma in modo particolare alla presenza o all’assenza di limitazioni, di natura diversa, che un individuo può incontrare nel suo percorso di tensione verso una particolare libertà.

In questa direzione, realizzare itinerari di educazione civica significa per noi dare vita a percorsi fortemente contestualizzati e costruiti insieme, attraverso i quali ricercare e smascherare insieme i meccanismi e le dinamiche responsabili dell’espandersi della povertà, della marginalità e della sofferenza; individuare le persone che più di altre restano oppresse da questi sistemi violenti e provare a costruire percorsi di coinvolgimento nell’immaginare ipotesi, interventi e servizi funzionali al cambiamento. Così il processo esperienziale avviene in due direzioni: da un lato l’innescarsi del dialogo, del confronto, che dovrebbe portare a risultati concreti; dall’altro lo sviluppo di competenze sociali e politiche maturate attraverso la discussione, la ricerca e la progettazione del gruppo. Lo studio delle possibili aree di intervento viene facilitato facendo riferimento a cinque regioni oggetto -di studio e sguardo prospettico:

− i percorsi di liberazione dal bisogno e di costruzione di diritti;

− l’investimento sulla conoscenza e sull’accesso all’informazione;

− l’aumento della coesione sociale e dei legami significativi nelle comunità;

− la pratica di processi partecipativi;

− la cura degli ambienti urbani di vita e del sistema naturale.

Altra funzione interna all’educazione civile è l’accompagnamento formativo. Un accompagnamento che dovrebbe essere «intenso» e continuativo, attento alla formazione della persona e alla crescita del cittadino, attraverso il:

− fornire e discutere conoscenze pubbliche utili all’esercizio del ruolo di cittadino nella relazione con la città, il suo vivere ed il suo crescere;

− sviluppare abilità di tipo sociale, legate allo stare con gli altri, pensare e progettare insieme, leggere la realtà, interloquire con chi amministra, dare vita a percorsi di denuncia e di costruzione partecipata di ipotesi di cambiamento;

− sostenere la consapevolezza dei principi irrinunciabili attorno ai quali apprendere l’esercizio difficile della coerenza nel quotidiano e la costruzione dello spazio del vivere collettivo;

− curare il sentire civile, i sentimenti che sostengono le pratiche di giustizia ed uguaglianza. La giustizia stessa ad esempio è, ancor prima di una consapevolezza razionale, un sentimento che istruisce un certo tipo di comportamenti, di società e di legami.

Quattro ambiti di lavoro fondamentali, orientati alla piena partecipazione delle persone alla vita della comunità, della città nella quale vivono. Dunque, un’esperienza educativa civile, che si fa politica pubblica, non al servizio di interessi particolari ma con i beni pubblici come contenuti specifici.

Un’ educazione rivolta alla tutela e alla costruzione dei contenuti, dei principi e delle pratiche sui quali è chiamata a reggersi una comunità che si trasforma e cresce secondo giustizia.

Se viene così costruita, l’esperienza educativa ci conduce ben oltre quel binomio di: «legalità e rispetto delle regole», troppo spesso, superficialmente, associato ai percorsi sui temi dell’antimafia. Prendendo in prestito le parole del filosofo e sociologo Edgar Morin: «L’educazione non deve preparare solo a seguire regole, ma a reagire in modo intelligente e creativo di fronte a situazioni nuove o complesse».

Per questo oggi l’impegno di Libera si traduce sempre più nel supporto e nell’accompagnamento ai territori e alle persone che vivono in contesti di marginalità, attraverso attività che riconoscono il forte ruolo educativo della scuola, ma che producono ricadute anche e soprattutto fuori dell’ambito scolastico.

Due elementi sono imprescindibili nella proposta educativa che Libera porta oggi nelle scuole di ogni ordine e grado, attraversando tutta Italia: il valore dell’esperienza e quello della testimonianza. Perché la narrazione, intesa come trasmissione frontale del sapere, non è più sufficiente ad attivare nei giovani la curiosità e il desiderio di impegnarsi. Serve l’esperienza diretta, la sperimentazione concreta che coinvolga anche il corpo, che porti ragazze e ragazzi a conoscere il mondo attraverso l’azione, in contesti differenti da quello scolastico.

In questo senso, può acquisire un grande valore pedagogico far vivere a ragazzi e ragazze una esperienza sui beni sottratti alle mafie e restituiti alla collettività. Studentesse e studenti, accompagnati dagli animatori di Libera, hanno l’opportunità di sperimentare in prima persona cosa significhi il riutilizzo sociale di un bene confiscato alle mafie. Una pratica che, oltre a trasmettere un apprendimento significativo legato alla buona Politica – grazie alla legge n. 109 del 1996 questo cambiamento si è realizzato diventando legge dello Stato — consente ai ragazzi di percepire in maniera concreta il valore dei beni confiscati che diventano beni comuni. Studenti e studentesse hanno la possibilità di conoscere persone che ogni giorno gestiscono e animano queste realtà; questo processo per molti giovani diventa pertanto l’occasione per costruire una nuova geografia del territorio: una mappa fatta di luoghi capaci di generare non solo economie sane, ma anche comunità, aggregazione, condivisione dei bisogni e dei legami.

L’altro elemento su cui vogliamo porre l’attenzione riguarda il valore educativo della testimonianza. Libera da sempre accompagna la rete dei familiari delle vittime innocenti delle mafie, che negli anni ha incontrato tantissimi giovani; in questo spazio di relazione che si instaura tra giovani e testimoni si crea una connessione sentimentale autentica che aiuta ragazzi e ragazze a riconoscere cos’è stata e continua ad essere la violenza mafiosa, decostruendo quell’immaginario stereotipato, talvolta perfino mitizzato, che qualcuno ha sulle mafie. Inoltre, in quel racconto intimo di dolore e fragilità che il testimone consegna a ragazzi e ragazze ritroviamo un altro apprendimento pedagogico importante: il valore dell’ascolto e del prendersi cura delle storie degli altri. In questo senso il «fare memoria» non è più un atto meramente celebrativo ma proietta i ragazzi nella dimensione dell’impegno civile, perché quella memoria si possa trasformare in impegno concreto.

E allora, nell’ultima parte di questo percorso, pensiamo sia importante, mettere a fuoco alcune delle esperienze concrete che Libera insieme ad altri e ad altre compagne di viaggio ha realizzato, diventando punto di riferimento per la comunità scolastica e del territorio.

La prima esperienza riguarda il «Polo Civico Ritagli»: una rete di associazioni attiva nel quadrante nord-ovest della città di Roma. Il filo rosso che lega tra loro le realtà della rete è costituito dall’antimafia sociale.

Associazioni diverse tra loro, che a loro modo, nel creare comunità solidali nel territorio, praticano azioni di antimafia sociale.

Libera propone insieme alle altre realtà del polo diversi laboratori nelle scuole del quartiere. Attraverso i nostri percorsi, vogliamo proporre un modello di scuola che si apre e dialoga con il territorio, costruendo comunità educanti che accompagnino ragazze e ragazzi nella crescita anche oltre l’orario scolastico.

Abbiamo portato avanti alcuni laboratori di monitoraggio civico e ripensamento degli spazi comuni del territorio. Siamo partiti dal chiedere a bambine e bambini di raccontarci il ricordo più felice che avevano nel quartiere e di segnarlo in una mappa. Il percorso si è concluso con una passeggiata monitorante, nel corso della quale le classi hanno rinominato le vie del quartiere con il nome del loro ricordo più felice. Così, a Montespaccato, per qualche giorno sono esistite Via degli abbracci, Via della schiacciata perfetta, Via delle passeggiate con papà.

Il monitoraggio civico ha come scopo quello di educare ragazze e ragazzi a porsi delle domande sul quartiere in cui vivono, a riconoscere la bellezza anche in un territorio che sembra grigio, ad immaginare insieme che i luoghi attraversati quotidianamente potrebbero essere differenti.

Nel film I cento Passi, l’autore ha immaginato Peppino Impastato affermare che «bisognerebbe educare la gente alla bellezza». Così che «in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Talvolta non riusciamo ad esprimere il bisogno di uno spazio verde, di un posto dove stare insieme nel nostro quartiere, perché non lo abbiamo mai avuto. Educare alla bellezza significa per noi anche educare alle possibilità. Allargare la sfera del possibile percepito e lottare per i propri desideri. La seconda esperienza che vogliamo raccontarvi riguarda la città di Napoli e il quartiere di Ponticelli.

Libera, in rete con tante realtà del territorio, propone percorsi educativi di contrasto alla dispersione scolastica. Diversi laboratori si svolgono nel Centro Ciro Colonna: uno spazio polifunzionale gestito da tante associazioni e intitolato a Ciro: un ragazzo di 19 anni, vittima innocente della camorra. «Costruire un senso di appartenenza ad uno spazio è fondamentale, soprattutto per ragazzi che rischiano di abbandonare la scuola» ci dice Marco Picardi, animatore a Ponticelli.

Le attività proposte sono diverse tra loro: dallo sport, all’aiuto compiti, ai laboratori di hip hop e di cucina.

Uno dei luoghi attraversati è una villa romana, che si trova tra i quartieri di Ponticelli e Barra.

«A volte i ragazzi arrivano ad ora di pranzo anche se le attività iniziano alle tre, sono legati allo spazio, che stiamo sistemando insieme. Vogliamo che lo sentano come casa propria, che si rafforzi un sentimento di identità» ci racconta Marco. Attraverso il progetto Present For Future hanno avuto la possibilità di portare in gita ragazze e ragazzi, creando degli scambi tra giovani che svolgono il medesimo progetto in città differenti. «Molti di loro non avevano mai preso un aereo, per loro è affascinante l’idea del viaggio e rafforza il legame con il gruppo». Continua Marco. Anche una gita al centro di Napoli è per molti un’esperienza nuova.

Libera e le associazioni del territorio si prendono cura anche di un campetto, intitolato alla memoria di Ciro.

Molti ragazzi si sono avvicinati giocando a calcio, ma costruendo un rapporto con loro sono emersi altri bisogni, valorizzando la pratica sportiva come pratica educante.

La rete sta quindi costruendo degli spazi educativi diffusi sul territorio: dalla villa romana, al campetto, al Centro Ciro Colonna. I ragazzi a rischio abbandono scolastico frequentano gli spazi non solo per studiare, ma per fare sport, laboratori di cucina e vivere esperienze diverse dal quotidiano.

Così facendo, si concretizza l’idea da cui siamo partiti: educare all’antimafia non è più soltanto trasmettere conoscenze o una disciplina tra le tante, ma diventa parte integrante della formazione etica e umana di tanti giovani.

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Pubblicato il: 18 Giugno 2025

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