Oggi si parla ancora di Diritti delle Bambine e dei Bambini. Non è una ritualità ma un bisogno. Non si deve parlare di ritualità che si ripete anno dopo anno quando il 20 novembre si celebra la giornata dedicata ai Diritti delle Bambine e dei Bambini: Diritti stabiliti da una Convenzione Internazionale adottata anche dalla nostra legislazione; non si deve parlare di ritualità perché la necessità di attivare azioni a sostegno dei diritti delle Bambine e dei Bambini di tutto il mondo è talmente grande che dobbiamo continuare a parlare e ad agire sempre costantemente ogni giorno come adulti che li hanno generati, che li educano, che scelgono politiche per la loro vita, che parlano di loro sui media. E’ bene quindi che il 20 novembre di ogni anno si continui a raccontare che cosa succede in ogni paese ai nostri piccoli ed ai loro compagni più adolescenti; a raccontare e ad agire con continuità per affermare in primo luogo il diritto a crescere con l'attenzione degli adulti che si prendono cura dei loro piccoli. E ci sono tanti modi di prendersi cura dei più piccoli da parte dei genitori, della scuola, delle istituzioni cattoliche e laiche che si occupano dell’infanzia, dell’adolescenza e dei giovani. E’ facile per tutti gli adulti (o quasi) dire no alle guerre, no alla violenza, no all’inquinamento ambientale, no alle sopraffazioni; è meno facile invece parlare di diritti delle Bambine e dei Bambini ad avere una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, e contrastare la povertà educativa, oggi particolarmente diffusa e pervasiva della vita di bambini ed adulti. E’ su questi due aspetti che voglio fermare la mia attenzione e di coloro che mi leggono. Inizio dal diritto dei ragazzini ad avere una scuola di qualità per tutti e per ciascuno e del conseguente dovere di chi questa scuola deve realizzarla. Ho appena trascorso alcuni momenti al convegno annuale di Rimini organizzato dalla casa editrice Erickson sul tema dell’inclusione scolastica ascoltando belle relazioni e partecipando a qualche workshop significativo; in tutti questi momenti di riflessione e dibattito è emersa la consapevolezza che il percorso da fare per arrivare a costruire una scuola inclusiva è ancora lungo ma possibile. Personalmente sono convinta - e ne ho parlato nel mio intervento ad una sessione del convegno - che tutti i docenti dovrebbero essere formati a realizzare una scuola universale che accoglie ed accompagna ogni bambino attraverso un percorso scolastico di rispetto delle differenze trasformate, in un contesto di comunità come è la scuola, in ricchezze. La scuola deve occuparsi dell’educazione dei ragazzi (cittadinanza, affettività, etica) non con ore aggiuntive magari pomeridiane e facoltative, né con libri di testo opportunamente pubblicati per fare business, né con esperti aggiunti che entrano in classe per un’ora a settimana lasciando quasi inalterato quello che avviene nelle altre ore. No, non è così che si costruisce una scuola di qualità anzi, si depotenzia del valore che essa ha in ogni ora e per ogni giorno in cui i bambini ed i ragazzini stanno accanto e vicini ad adulti a loro dedicati che devono con loro parlare attraverso l'esperienza e l’approfondimento su testi classici di filosofia, di letteratura, di scienza, di tecnologia, di musica. E’ attraverso le Arti e le Scienze che si educano i ragazzi alla bellezza, alla storia, al rispetto dell’uomo e delle donne, dell’ambiente, delle religioni. E’ attraverso le Arti e le Scienze e le metodologie con le quali vengono proposte che si cattura l’attenzione dei ragazzi di ogni età, che si suscitano curiosità e creatività, che si sviluppa la motivazione, che si imparano e si rispettano le differenze, che si conosce e si cura il contesto fisico nel quale abitiamo. Le ore aggiuntive sono un bluff che serve a coprire la coscienza del politico di turno e che soprattutto vengono accolte perché nulla cambi della ritualità negativa con cui oggi è ancora fatta tanta scuola (lezione, compito, interrogazione seduti al banco monoposto da dove ci si muove alzando la mano e chiedendo il permesso). Si fanno ore legate all’affettività facendo il circle time e la discussione libera mentre nelle altre ore ci si posiziona non guardandosi mai negli occhi. Sono arrabbiata verso questo modo di pensare e di agire di tante, troppe persone che si occupano di scuola e che legiferano su di essa non ascoltando anche chi ha speso tutta la vita per costruire una scuola per tutti e per ciascuno. Non servono nuove leggi e nuove linee guida, servono formazione periodica obbligatoria per docenti, dirigenti, personale di custodia; serve formazione ed accompagnamento per i genitori fin da quando sono in attesa dei loro piccini, serve ‘Coscienza dell’Infanzia’, quella che riconosce ad ogni piccolo quella straordinaria ricchezza di potenzialità di apprendimento e sviluppo e quindi riconosce i ragazzi come soggetti produttori di una cultura originale e cooperativa. Serve quindi un cambio di paradigma culturale che faccia della scuola il luogo privilegiato della crescita affettiva, sociale ed intellettuale dei nostri ragazzi. E servono investimenti per tutti ma non a pioggia, che aiutino le scuole più deboli a rafforzarsi nel confronto e nel dialogo tra pari senza la paura del giudizio ma con la responsabilità del bilancio sociale. Serve attenzione e cura alla scuola complessivamente intesa con tutti i suoi protagonisti. E da qui mi soffermo su l'altro tema che in questi anni mi ha stimolato una riflessione approfondita: la povertà educativa che è impalpabile ma presente in ogni contesto di vita di adulti e bambini. E’ quel tipo di povertà che sommata a molte altre e di diverso tipo crea emarginazione, sofferenza, violenza, dolore. Ed anche là dove non si somma ad altre povertà (famiglie che economicamente stanno bene, hanno tecnologia a disposizione, si permettono viaggi e vacanze) la povertà culturale regna sovrana. E qui credo che le responsabilità non siano tutte a carico della scuola ma molto viene dal contesto socio culturale nel quale ogni ragazzino vive: in primis la famiglia ma anche quel tessuto sociale nel quale trascorre molte ore della giornata che siano gli oratori o le palestre, la scuola di musica o la piazza del paese. Ho citato luoghi che purtroppo sono sempre meno punti di riferimento per tutti (lo sono di fatto per pochi bambini e poche famiglie come ci raccontano anche i dati di tante agenzie); i nostri piccoli passano intere ore davanti ad uno schermo e da soli senza nessun interlocutore capace di rispondere alle loro domande, curiosità, paure. Questo aspetto della solitudine dei ragazzi a cui si accompagna quello dei genitori sempre più fragili e del contesto di vita sempre più liquido e povero di punti di riferimento è un dato allarmante perché genera quella povertà educativa priva di libertà, di responsabilità, di autonomia, di partecipazione. E’ povertà di vita nei sentimenti, nel pensiero creativo, nella costruzione del dialogo, nel confronto con gli altri, nell’aiuto agli altri; insomma svuota il percorso di quelle fondamenta valoriali che ci permettono di fare una vita degna di essere vissuta da soli, in piccolo e grande gruppo. Urge agire e lo dobbiamo fare ogni giorno noi adulti in ogni luogo dove esercitiamo “un potere”; lo dobbiamo ai nostri piccini, al loro futuro ed al futuro di un'umanità che ha bisogno di pace, nonviolenza, cultura e scienza.