Le drammatiche vicende delle ultime settimane riguardanti la violenza contro le donne ci hanno lasciati sgomenti, in un crescendo di ansia e preoccupazione; sono vicende che ci interpellano come adulti e soprattutto come educatori. È evidente che stiamo affrontando un’emergenza sociale, con la consapevolezza diffusa della necessità di un cambiamento culturale; tuttavia, le strategie per realizzarlo non sono altrettanto chiare. In questo contesto, come persone coinvolte nell’educazione dei bambini nelle nostre aule scolastiche, dobbiamo riflettere su come possiamo contribuire a questo cambiamento. Certamente l’educazione è un fattore strategico, oramai da più parti si riconosce che il fattore fondamentale che genera la violenza di genere è di natura culturale, e ha a che fare con la mentalità, i comportamenti, i media, il contesto, il tipo di educazione familiare che ricevono i maschi ma anche le femmine fin dai primissimi anni di vita. Educare al rispetto reciproco, alla libertà, alla dignità dell’altro, a cominciare dal corpo, è fondamentale sia per le famiglie che per la scuola. Nonostante il nostro impegno orientato alla nonviolenza e all’empatia che sono pilastri fondamentali in Senza Zaino, dobbiamo ammettere che a volte persistono stereotipi di genere nelle nostre aule, spesso in perfetta buonafede. Il titolo di questo editoriale ne richiama uno ancora presente in molte scuole dell’infanzia, anche in qualcuna della nostra rete: l’uso del grembiule rosa per le bimbe e quello azzurro per i maschietti che rappresenta una discriminazione di genere basata su tradizioni ormai superate. Mai e poi mai metteremo i grembiulini rosa per tutti, come avevo provocatoriamente proposto a una scuola: no! Il rosa ai maschi mai! Il problema degli stereotipi di genere è presente anche nei libri di testo, nel linguaggio e nei comportamenti degli adulti di riferimento. Del resto, la scarsa presenza di donne laureate negli studi scientifici è un esempio lampante di questo problema, che danneggia l’economia e lo sviluppo sociale del Paese. Quest’anno abbiamo un’occasione speciale per affrontare il tema dell’educazione di genere; il Senza Zaino Day, infatti, è dedicato in particolare al tema «rompere gli schemi nelle relazioni» e tra le possibili piste operative da sviluppare abbiamo indicato proprio l’educazione di genere e il contrasto agli stereotipi che continuiamo a trasmettere, spesso in perfetta buona fede, perché si tratta di comportamenti profondamente interiorizzati. Siamo dunque proprio «sul pezzo», come di dice in gergo giornalistico, nel pieno del dibattito pubblico, e l’occasione del Senza Zaino Day può diventare un’opportunità preziosa per fare giungere messaggi importanti anche alle famiglie, che giocano un ruolo decisivo in questo campo. Un altro aspetto legato alla violenza di genere e da molti evidenziato è la presunta fragilità dei maschi italiani, anche giovani, di fronte al rifiuto, alla perdita, a quello che viene vissuto come un affronto, un oltraggio insuperabile. Da qui nasce la violenza di genere, non solo quella che emerge da casi di cronaca tremendi ma anche quella sottile, implicita e quotidiana che vivono molte donne in famiglia. Ecco, questo è un dato che fa riflettere; quali sono le radici che possono spiegare comportamenti di questo genere? Sicuramente una insicurezza profonda da cui deriva la mania del controllo, l’incapacità di gestire l’insuccesso, le emozioni negative, il rifiuto, la rabbia, la perdita… questo è un tema su cui dobbiamo interrogarci e agire, ma non con le misure che saranno adottate dal nostro Ministero. In queste settimane, molti opinionisti hanno invocato la scuola ancora una volta come il luogo per affrontare la situazione; ogni volta che si presenta un problema sociale la scuola viene chiamata puntualmente in causa per riparare e colmare lacune educative. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha dunque proposto misure contro la violenza di genere, tra cui l’educazione affettiva ed emotiva. Tuttavia, aggiungere solo un’ora o due di lezioni extracurricolari, per di più facoltative, non risolve il problema alla radice. È essenziale integrare l’educazione affettiva nel curriculum tradizionale, riconoscendo che arte, letteratura e filosofia sono già strumenti formativi che contribuiscono alla formazione della persona nella sua completezza. È indispensabile inoltre concepire l’intera esperienza scolastica di ragazze e ragazzi in una visione globale e completa, in cui interagiscono continuamente fattori cognitivi, affettivi e relazionali. Ricordiamoci inoltre che il modello Senza Zaino ha luoghi e riti dedicati a questo aspetto dell’educazione, fin da quando i bambini entrano nella scuola dell’infanzia; l’agorà così come il forum nella scuola media sono spazi dedicati al confronto, al dialogo, all’espressione di sé e delle proprie emozioni. Imparare a riconoscere le proprie emozioni positive e negative fin da piccoli significa denominarle, elaborarle e imparare a gestirle. Noi li abbiamo già questi strumenti che sono fondamentali e che, in forme diverse, accompagnano gli studenti lungo tutto l’arco della loro esperienza scolastica. Ricordo l’intervento di una mamma che esercitava la professione di neuropsichiatra infantile la quale, durante un’assemblea dei genitori, disse che Senza Zaino le avrebbe tolto molti clienti in futuro. Vide infatti nelle buone pratiche di ascolto, non violenza, attenzione al benessere affettivo, emotivo e relazionale tipiche di Senza Zaino un modo per prevenire futuri disagi e fragilità che spesso si rivelano in età adolescenziale. In conclusione, è cruciale combattere gli stereotipi di genere, aiutando bambine e bambini a sviluppare atteggiamenti di reciproca gentilezza, attenzione e rispetto fin dalla loro più tenera età. Solo attraverso un approccio educativo completo e inclusivo possiamo sperare di contribuire al cambiamento culturale necessario per contrastare la violenza di genere.
Maria Paola Pietropaolo Responsabile scientifico, membro del Gruppo Fondatore di Senza Zaino